Fotografi in Mostra


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Nell’agosto 2009 ho scritto e curato insieme a Cristian Pozzer Fotografi in Mostra. Foto, interviste e ricordi dei fotoreporter che ogni anno coprono la Mostra del Cinema di Venezia. Nel libro intervengono anche Enrico Lucherini, Andrea Monti, Michele Neri, Carolina Crescentini, Laura Delli Colli, Tiziana Faraoni. Un progetto editoriale ideato insieme a Alberto Czajkowski di Canon Italia.

Copertina del libro
Introduzione del libro: Più beat che cialtroni

Era il 1979. Allora facevo il fotografo. Ero a Venezia per fotografare Arthur Rubinstein alla Fenice. Joelle, giornalista francese conosciuta per caso, mi propose di andare alla Mostra del Cinema. Presi la mia vecchia reflex e via sulla linea 1. Direzione Lido.

Lei voleva fare qualche intervista, ma non capimmo che il centro di tutto era l’Hotel Excelsior. Rimanemmo per due giorni al Palazzo del Cinema ad aspettare qualcuno da fotografare. Ricordo una mia lite con Michelangelo Antonioni. Lui che aveva girato Blow-up e che era stato un fotografo, non voleva essere ripreso e inveiva contro chiunque lo facesse.

L’anno dopo tornai di nuovo. Solo per seguire la Mostra. Si facevano foto utili per l’archivio e qualcosa riuscivi anche a venderla subito. Pasquale Prunas del Messaggero comprava tutte le foto che gli piacevano. Era uno stimolo a inventare inquadrature e situazioni diverse dalle immagini piatte di quegli anni. L’Excelsior era una grande sala posa. Potevi fotografare sulla spiaggia, nella terrazza, nelle camere. Anche nei bellissimi bagni che i più audaci usavano soprattutto per incontrarsi con giovani starlette.

E poi le feste dove si andava a bere Bellini e magari a recuperare qualche gadget come i bicchieri con il logo dell’albergo. Le più belle erano quelle della Gaumont in quel palazzo sul Canal Grande che i veneziani dicono che porti sfortuna solo a nominarlo. Alla Gaumont bene non ha portato. E neppure a Raul Gardini che lo comprò subito dopo.

In quegli anni si dormiva poco e si beveva molto. Qualcuno diceva che noi fotografi eravamo cialtroni, qualcun’altro degli incurabili beat, sicuramente professionisti con una grande passione per quel mestiere. Pronti a litigare con le autorità per fare uno scatto diverso, per raccontare meglio quello che accadeva.
Non ho mai amato gli attori e non li fotografavo. I registi sì, tutti. Miguel Littin, si stupì quando gli chiesi di fotografarlo. Nessuno lo conosceva. Riuscii comunque a vendere qualche bianconero al solito Prunas.

Poi iniziai a collaborare con L’Espresso. Era utile essere accreditati alla Mostra da un grande giornale. Gli addetti stampa ti consideravano di più e ti permettevano di fare servizi posati.

Dopo qualche anno arrivai al TV Radiocorriere. Fotografo di staff.
Il giornale era molto interessato alla Mostra del Cinema. Decine di pagine di reportage e servizi posati. Il Radiocorriere pagava tutto, pranzi, cene alberghi. Anche l’Hotel Des Bains, una volta. Non dovevo più affittare le case della signora Maria Luisa, che al Lido ti trova sempre un posto dove dormire durante la Mostra.Lavorare per una testata RAI aiutava, ma avere accesso ai personaggi era comunque ancora facile .

Ricordo Harrison Ford che anziché davanti al solito muro mi propose di fare un servizio all’alba sul pontile dell’Excelsior e Sabine Azema che accettò di essere fotografata nella sua camera la mattina appena sveglia.
Poi la Mostra iniziò a essere blindata.

Gli attori dovevi scovarli. Iniziarono gli inseguimenti con i motoscafi. Se davi una mancia al tuo motoscafista, già molto caro, quello chiamava il collega che aveva a bordo il divo e si faceva dire il percorso. A volte lo convinceva anche a rallentare.
Si usavano tecniche da cronaca nera. Finiti i tempi con la Schygulla che si faceva fotografare mentre leccava il collo di Fassbinder al bar dell’Excelsior. Lo scorso anno ero seduto allo stesso bar e quando ho alzato la mia Ixus per fotografare un “giovane regista italiano” seduto al bancone, un tipo con la faccia e l’abbigliamento da addetto stampa viene e mi chiede cosa sto facendo. Ma come cosa sto facendo? Faccio il mio lavoro. Fotografo, provo a raccontare un momento della mia epoca. E poi ci struggiamo davanti alle immagini del passato? Allora non ti chiedevano “cosa sta facendo?”.

Poi arrivarono i fondali. Roberto Grazioli, Leonardo Cendamo, Piermarco Menini e tanti altri fotografi montavano i loro set nelle hall dei grandi alberghi del Lido e facevano posare attori e registi.Il reportage, la foto ambientata sembravano generi morti. Le foto belle sembravano essere solo quelle davanti a un fondale grigio neutro, meglio se in bianconero e meglio ancora se con un flash elettronico dotato di diffusore e messo di lato rispetto al soggetto.Non solo. Questi signori, molti dei quali erano e sono rimasti miei amici, si incazzavano se qualche altro fotografo scattava insieme a loro. A me non piace “ribattere” le foto dei colleghi, ma non ho mai capito perché una foto con il fondale deve avere dignità maggiore di un ritratto ambientato e quindi vada rispettata solo l’esclusività di quel set.Siamo proprio sicuri che ci dica di più di Lady Diana un suo bel primo piano fatto da Lord Snowdon della foto del suo bikini rubata da Massimo Sestini?

Dopo i set diventarono di moda i fotografi zoppi, come li chiamo io. Quelli che quando scattano inclinano la macchina fotografica. Chissà poi perché?
E finalmente nel 1995, le fotografia diventò digitale. Incontrai Alberto Czajkowski di Canon Italia a Roma, durante una fiera. Gli chiesi di prestarmi una Canon EOS DCS3 per coprire la Mostra del Cinema che stava per iniziare. Mi disse che aveva qualche incertezza, ma il giorno prima dell’inaugurazione passammo la notte negli uffici milanesi di Canon per mettere a punto l’attrezzatura. L’esperimento riuscì. La Stampa di Torino e il Washington Post usarono quelle immagini che trasmisi con un modem a 56 kbps.

La fotografia tradizionale mi affascinava sempre meno, ero interessato al web, al digitale. Nel 1997 ero di nuovo alla Mostra con Rosebud. Un agenzia creata da me, Graziano Arici e Francesco Gorup De Besanez. Recuperavamo archivi fotografici che ritraevano personaggi del mondo della cultura, scansionavamo le foto e le pubblicavamo on-line. Giornali, editori e televisioni potevano scaricarle.
Nel 2001 coordinavo Emage, il laboratorio multimediale dell’agenzia Grazia Neri.Coprimmo la Mostra per il Corriere.it. Una telecamerina miniDV, un microfono e un Mac portatile. Intervista, montaggio, compressione e trasmissione al sito. Tutto da soli. Il giornalismo stava diventando più agile.

Anche se nello stesso anno Kataweb usava ancora troupe di 3 persone con tanto di Betacam e monitor esterno per controllare le riprese.
Il fatto di poter usare strumenti piccoli, mimetizzabili, poco invadenti mi ha sempre affascinato. Così quando nel 2002 uscì il Nokia 7650, il primo telefonino che faceva fotografie, andai alla Mostra con quello. Nokia e Vodafone sponsorizzarono il progetto. Stava cambiando tutto. Parole come User Generated Contents, cameraphone e citizen journalism entrarono nel linguaggio comune.

Poi nel 2007, con Cristian Pozzer e sempre supportato da Canon, un’altra provocazione. Chiedemmo all’ufficio stampa della Mostra di accreditare come fotografo una fotocamera EOS-1D MARK III dotata di collegamento wireless. La macchina era sul cavalletto in mezzo agli altri fotografi e io scattavo monitorando quello che accadeva attraverso un computer posizionato all’Hotel Excelsior. Un modo per sperimentare le nuove tecnologie, ma anche per evidenziare come le foto che puoi fare al photocall non sono altro che tante brutte fototessera. Tutte uguali e che non comunicano molto né sul personaggio né sulla Mostra.

(Marcello Mencarini)

Intervista a Enrico Lucherini, press agent

MM – La maggior parte dei fotografi si lamenta del fatto che una volta venivano “coccolati” dagli uffici stampa, mentre adesso è tutto blindato. Di chi è la colpa?

EL – Non ci sono i tempi. Quest’anno Clooney ha detto che vuole fare una sola televisione e una sola intervista e dobbiamo limitarci a quello che gli attori, soprattutto americani, richiedono. In questi casi siamo costretti a dire di no a tutti.

MM – Quindi sono gli attori a negarsi?

EL – Gli attori e gli uffici stampa americani guidati dagli attori. Prima di arrivare al festival parlano con gli uffici stampa e dicono di fare le cose principali, le televisioni, i telegiornali di tutto il mondo. Io negli anni sessanta a Venezia concedevo delle esclusive anche nelle camere, quando l’attrice si cominciava a vestire… Adesso non c’è più il tempo, l’attrice deve arrivare truccata al mattino e rimanere truccata, tutto il giorno.

MM – Allora è solo questione di tempo e non di politiche diverse di comunicazione?

EL – No, non solo di tempo. Soprattutto gli attori stranieri arrivano con degli uffici stampa molto “caldi”, dal nostro punto di vista antipatici, ma d’altra parte devono fare il loro lavoro, seguire le loro strategie.

MM – Secondo te vale di più un passaggio televisivo o un bel servizio fotografico, posato?

EL – Vale di più un passaggio televisivo. Ormai i giornali con Internet sono in grave crisi. Sono calati come tiratura e un po’ alla volta, speriamo di no, ma ho paura che tra dieci anni non ci saranno più.

MM – E privilegiate alcuni giornalisti rispetto ad altri?

EL – Non privilegiamo un critico o un altro. Per esempio ci sono dei giornalisti molto qualificati che hanno chiesto un’esclusiva a Tornatore per il suo film Baarìa quest’anno a Venezia, ma se – faccio un nome a caso – concedessi l’esclusiva al Corriere della Sera, si incazzerebbero tutti gli altri. Quindi tutti i critici, di giornali grandi e piccoli, vedranno tutti insieme il film nel giorno previsto dalla Mostra.

EL – MM – Hanno senso i photocall? Servono quelle foto secondo te?

Beh… vedo che alcuni giornali le pubblicano. Magari i giornali minori non possono pagare un servizio esclusivo e preferiscono prendere quelle foto che costano pochi euro.

EL – MM – I fotografi della Mostra sono cambiati negli anni?

Il fotografo di star, da esclusive, è sempre rimasto quello. Per esempio Sophia Loren mi piace fotografata da Escalar, mentre un’attrice giovane la preferisco fotografata da un ragazzo strano come Fabio Lovino. Sono cambiati invece i paparazzi che sono diventati molto aggressivi. Con tutta la storia di vallettopoli ancora di più.

EL – MM – Di Fabrizio Corona cosa pensi?

Non lo conosco, ma mi è simpatico. Dovrebbe darsi una calmata, se si dà una calmata ha talento.

EL – MM – Tu sei famoso per quelle che ormai vengono chiamate “lucherinate”…

È che a volte, per promozionare un film o un attore, mi metto d’accordo col fotografi. Come accadde molti anni fa con Florinda Bolkan… Con una sola foto di lei con Richard Burton, mi inventai che era la sua nuova donna. Aspettai un comunicato Ansa su Liz Taylor che entrava in clinica per altre ragioni e dissi che invece era stata vittima di una grave crisi di gelosia. In realtà in quella foto fatta ad una festa c’era anche la Taylor, ma venne tagliata in modo che sembrasse che lui stava solo con Florinda. Tutto questo perché usciva “Metti una sera a cena” di Patroni Griffi con un cast stellare e lei era la protagonista sconosciuta. Con un gossip così i giornalisti non andavano più dalla Girardot, da Trintignant, da Tony Musante e la Bolkan diventò quasi più famosa di quegli attori. Un’altra volta feci quasi bruciare un’attrice. Nella scena di Rebecca la prima moglie quando brucia il cartello, io ero al Castello di Trieste dove si girava e feci avvicinare Mariangela Melato al fuoco, la feci svenire e vennero a prenderla i vigili del fuoco d’accordo con il fortografo che riprese tutto e vendette quelle foto a delle cifre interessanti.

EL – MM – Qualche “lucherinata” veneziana?

Ne ho organizzate tante. Alla prima della “Carmen” di Rosi, sulla passerella, feci suonare dalla banda locale il prologo dell’opera di Bizet. Per “La notte brava” di Bolognini, nel ’61, buttai tutte le attrici in acqua davanti all’Excelsior e uscirono molto più sexy che nude, con le magliette bagnate appiccicate al corpo…

EL – MM – Ti sei mai pentito?

No, mai. A parte quella volta che mi misi d’accordo con Laurent Terzieff – protagonista di “Vanina Vanini” di Rossellini – per far credere ad Oriana Fallaci che fosse malato di cancro e ne scrivesse sull’Europeo. Una cosa di cattivo gusto che non rifarei.

(Intervista di Marcello Mencarini)