Mucha Mierda


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Squallida latrina puzzolente o WC-opera d’arte? Quello del cesso è un concetto ambivalente… Con la sua carica provocatoria il cesso assume una valenza filosofica ed estetica positiva… Le foto di bagni pubblici qui raccolte, scattate da Marcello Mencarini in vari Paesi, sono un insolito reportage su questi ambienti particolari e anche un pretesto per fare del cesso un ironico portafortuna.
Completano il volume un’introduzione di Olga Olivi, una breve Storia del WC e Come chiedere Dov’è il bagno? in 50 lingue.

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Introduzione di Olga Olivi

IL CESSO PORTA BENE

Squallida latrina puzzolente o WC-opera d’arte, come quello tutto d’oro firmato da Maurizio Cattelan per il ­Guggenheim Museum di New York? Quello del cesso è un concetto ambivalente. È un esempio della coesistenza implicita e spesso rimossa degli opposti, di come l’alto e il basso si mescolino. 

Quando si pensa al cesso si pensa subito al motivo per cui esiste. Da qui a cacca, pipì, odori e schifezze annesse e connesse il passo è breve. Cosa c’è di più disgustoso?Nell’Iperuranio di Platone ogni cosa ha un’idea corrispondente, un modello universale, non però gli escrementi, troppo infimi per pretendere una qualche forma paradigmatica.

Eppure nella nostra cultura la merda è sì cosa infima, ma anche con una forte carica positiva, beneaugurante. E questa stessa ambivalenza, per implicita metonimia, si riflette nell’ambivalenza del cesso.
D’accordo, “sei un pezzo di merda” non suona come un complimento e “siamo nella merda” non è espressione tranquillizzante. Analogamente, espressioni come “che cesso di film” o “che cessa, quella” non manifestano affatto entusiasmo o ammirazione. 

Però se sognate merda, ecco che secondo la smorfia – custode di credenze popolari profonde – questo vi porterà denaro e successo. 

Non sono solo sciocchezze da popolino incolto. Anche per la psicoanalisi la cacca ha un suo valore per niente secondario. Per Freud la defecazione ha un ruolo importantissimo nella vita del bambino, che nella fase anale impara a gestire le sue funzioni sfinteriche ricavandone una fondamentale autostima, rafforzata dal compiacimento dei genitori. Al contrario, il mancato controllo può indurre un senso di inadeguatezza e angoscia. 

Tornando alla cultura popolare, il senso della merda come valore ha profonde radici contadine. In questo contesto le deiezioni umane e animali sono un materiale prezioso per concimare i campi. “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”, cantava De André. E presso alcuni popoli, una volta essiccati, questi scarti diventano anche utile materiale da costruzione o combustibile ecologico. 

Pestare una cacca, poi, si dice porti bene. Qui è più difficile vedere il lato positivo, ma pare che la credenza derivi dal fatto che durante la Seconda guerra mondiale i soldati ritenessero un buon segno gli escrementi dei cavalli nei campi da sminare: dove c’era sterco, di sicuro non c’erano bombe nascoste. Sempre a proposito di guerra, l’esclamazione “merde!” attribuita al generale Cambronne in risposta alla proposta di resa a Waterloo non è priva di una certa sprezzante fierezza.

La cacca come segno di consapevolezza o di buon auspicio è una costante in diverse culture e in diversi ambiti. In particolare, nel mondo del teatro la merda è considerata un portafortuna in molti Paesi. Che si dica “mucha mierda!”, “muita merda!”, “merde!” o “merda, merda, merda!”, significa sempre un augurio di successo. Si racconta che questo risalga all’epoca in cui a teatro si andava in carrozza. Molti escrementi di cavallo davanti al teatro erano il segno tangibile dell’arrivo di molte carrozze e dunque di molti spettatori.

La merda è anche da sempre intesa come sintomo di buona salute. Per esempio, la formula francese di cortesia “comment ça va?” deriverebbe dalla domanda fatidica che ogni mattina i medici di corte facevano al re riguardo all’andamento delle sue evacuazioni, per dedurne la condizione fisica. Questa liaison tra cacca e benessere corporale non vale solo per i re, ma per tutte le classi sociali e in ogni tempo, come conferma il proverbio latino “cacatio matutina est tamquam medicina”, che ha avuto diverse traduzioni e varianti in molti proverbi popolari ancora usati.

Senza arrivare alla coprofilia, esaltata dal naturalismo estremo e devastante di De Sade, gli escrementi non sono dunque privi di significati positivi.
Allo sterco è stato dedicato anche un museo: il Museo della merda di Castelbosco, vicino a Piacenza. Non solo un’istituzione che propone mostre sul tema, ma un vero progetto creativo con risvolti ecologici ed economici da non sottovalutare. L’idea, geniale, è nata in un grande allevamento di 3.500 mucche che, oltre al latte per il Grana Padano, producono anche 1.500 quintali di sterco al giorno. Potenzialmente una bomba contro l’ecosistema, che invece viene trasformata in elettricità, in concime e in merdacotta®, un materiale per nulla repellente con cui produrre oggetti firmati da famosi designer, come stoviglie, vasellame e anche dei bellissimi cessi.

Proprio nel campo della creatività e dell’arte, la merda – e il cesso, ad essa intimamente connesso – assumono un ruolo significativo. Il primo a intuire che in fondo anche le cose infime e sgradevoli, se ben rappresentate da un artista, non suscitano ribrezzo fu Aristotele (Poetica, IV 1448 b 5-19).Ma fu quando l’antico concetto greco dell’arte come imitazione divenne stantio che il cesso, e gli escrementi, si ritrovarono non solo tollerati, ma protagonisti nell’arte. Il più dirompente fu Marcel Duchamp che, preso un banale orinatoio bell’e fatto, trasformandolo in Fontaine elevò il cesso a opera e insieme lanciò la moda pop del ready-made. Da allora vili oggetti presi dalla vita comune, decontestualizzati e trasformati in opera d’arte, si ritrovarono spesso esposti nelle sale dei musei. Questo largo giro si è compiuto con il cesso d’oro di Cattelan di cui si diceva all’inizio. Un WC tutto d’oro, appunto, destinato a essere davvero usato dai visitatori del Guggenheim Museum di New York come gabinetto. Qui l’opera torna a essere oggetto d’uso, in una decontestualizzazione inversa rispetto a quella di Duchamp: non più dal cesso al museo, ma dal museo al cesso (del museo). Così si chiude il cerchio, sancendo definitivamente l’attuale confusione tra l’alto e il basso, tra l’opera e l’oggetto, tra l’arte e la vita in una dimensione spettacolare che Guy Debord aveva previsto profeticamente (Guy Debord, La società dello spettacolo, 1967).

Tra Duchamp e Cattelan si snoda una lunga serie di artisti che degli escrementi o dei sanitari hanno fatto un’opera d’arte. Come non citare la celeberrima Merda d’artista di Piero Manzoni? E, solo per ricordare alcuni esempi, la Cloaca di Wim Delvoye, l’installazione The Zurich Load di Mike Bouchet realizzata con ottanta tonnellate di feci umane, il cesso d’artista installato alla Frieze Art Fair di Londra da Julie Verhoeven, i leader mondiali seduti sul WC nei fotomontaggi di Cristina Guggeri? In quest’ultima creazione (The Daily Duty) ritorna un elemento che c’è anche nel water, non a caso intitolato America, di Cattelan: il cesso come simbolo di uguaglianza e democrazia. Seduti sul cesso siamo tutti uguali. E questa rivelazione può diventare anche un veloce esercizio di autostima: per darmi coraggio e non farmi intimidire dai ruoli sociali e dai tipi autoritari, mia madre mi diceva: “immaginali al cesso”. Provateci, funziona.

Dall’infimo al sublime, dal sudicio all’utile, dalla scatologia all’escatologia, metafora dell’eterna compresenza degli opposti, con la sua carica provocatoria il cesso assume una valenza filosofica ed estetica positiva. Forse perché con il cesso si parte dal basso che più basso non si può, ma poi gli estremi finiscono per congiungersi. Così il cesso può diventare anche il luogo metaforico della ripartenza: dalle stelle alle stalle, dal cesso al successo.
Il cesso ci riporta anche a una dimensione intima, di privacy, ogni volta che ci chiudiamo a chiave lì dentro. Se per gli antichi Romani i bagni pubblici erano un luogo di incontro per chiacchierare o parlare di affari – e un tempo molti re e nobili, seduti nella loro sedia da toilette, ricevevano ospiti e dignitari senza nessun imbarazzo – con l’imporsi della mentalità cattolico-borghese sono prevalsi il pudore e la conseguente attuale concezione del cesso come luogo riservato. E neppure l’invadenza dei selfie, che spesso fanno del cesso un luogo social, riesce ad annullare questa intimità. “Sempre in fondo a destra”, come canta Gaber, fuori casa il cesso ci permette non solo di provare un confortante sollievo dal bisogno – nonostante tutto, anche in condizioni igieniche talvolta precarie – ma comunque di isolarci, di riflettere, di specchiarci, di rifarci il trucco pure se non ci trucchiamo.

Non a caso cesso deriva dal verbo latino cedere, che significa ritirarsi, allontanarsi, privarsi alla vista altrui per fare ciò che non è opportuno mostrare: è la zona privata per non-eccellenza. Ma, ben più del cesso di casa, è il cesso pubblico a rivendicare l’esigenza di uno spazio riservato.I cessi pubblici sono una zona franca, sono il tempio dell’osceno. Dentro i cessi pubblici non c’è tabù. Lì dentro ci si può accoppiare, drogare, o più banalmente si può dare sfogo ai propri bisogni fisiologici, insopprimibili, ma pur sempre volgari e da celare agli altri. 

Nell’epoca del politically correct, il cesso è stato anche sublimato in diritto universale. Non poteva mancare in proposito il World Toilet Day (il 19 novembre), indettodall’ONU per ricordare che miliardi di persone ancora oggi non possono usufruire di bagni puliti e fognature efficienti, con prevedibili nefaste conseguenze sulla salute e sull’ambiente.

I cessi, secondo Slavoj Žižek, sono un segno del carattere di un popolo, al punto che il cesso diventa metafora di una civiltà. In effetti, tra i cessi degli antichi romani – senza nessuna separazione o privatezza – ai bagni ipertecnologici dei giapponesi – muniti di dispositivi sonori perché nessun rumore molesto ricordi l’originaria, immonda funzione del luogo – corrono delle notevoli differenze di mentalità.

Guardare le foto di cessi pubblici pubblicate in questo volume, foto che Marcello Mencarini ha scattato in diversi Paesi – dall’Italia, alla Francia, alla Germania, alla Slovacchia, agli Stati Uniti – può essere un’occasione per rifarsi un’idea random di questi ambienti particolari. Le immagini sono state realizzate con uno smartphone senza un piano prestabilito, senza pretese di esaustività e senza l’intento di cogliere soltanto l’insolito o il divertente. Fissano esperienze quotidiane, significative proprio per la loro universale banalità.

Buona visione, dunque, e mucha mierda!